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mercoledì 25 ottobre 2017

Sopravviverà la scuola italiana alla demagogia ?


A proposito dell'abolizione del voto di condotta.

A questo punto, non sembrano del tutto infondate le osservazioni di coloro i quali sostengono che il peggior nemico dei docenti si trovi a V.le Trastevere.

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Aggiungo in premessa a questo articolo, già pubblicato su “ilsussidiario.net” del 19 ottobre 2017 e su facebook, un’ulteriore annotazione: l’abrogazione del “5 in condotta” è stata decisa senza dibattiti e consultazioni di sorta. Né i mezzi d’informazione un dibattito, almeno ex post, lo hanno aperto. Si sono quasi tutti limitati a riportare il comunicato stampa del ministero.
Le indagini internazionali Ocse-Pisa non mirano solo a valutare la comprensione di testi di vario tipo da parte dei quindicenni, ma anche a ottenere indicazioni sul contesto dell’apprendimento: condizione familiare, ambiente sociale, differenze di genere. Già in passato nell’analisi dei dati l’Ocse sottolineava l’importanza della disciplina in classe in relazione ai risultati scolastici. E sarebbe la scoperta dell’acqua calda: basta il buon senso per capire che “dove la disciplina è allentata, gli insegnanti sprecano tempo e gli studenti non sono concentrati a causa delle numerose interruzioni”. Ma il buon senso, si sa, è merce rara e mai come in questo caso repetita iuvant.

Non basta. Nell’indagine del 2015 viene fuori che fra le caratteristiche delle scuole in cui gli studenti stanno meglio occupano i primi due posti attività impegnative nelle materie di studio e disciplina (seguono coinvolgimento dei genitori; cura, rispetto e fiducia negli studenti; una relazione positiva tra studenti e insegnanti; equità)[1].
A fronte di queste chiarissime indicazioni, il decreto firmato martedì scorso dalla ministra Fedeli va in direzione esattamente opposta, abrogando il voto in condotta e quindi la relativa insufficienza, con la quale si doveva ripetere l’anno: una delle rarissime iniezioni di serietà che la scuola italiana abbia ricevuto da molto tempo a questa parte. Si è forse corsi ai ripari in séguito a un’epidemia di bocciature per maleducazione? Assolutamente no, anzi c’è da dubitare che la norma sia mai stata applicata (come al solito si fa e si disfa senza rendere noto uno straccio di indagine a sostegno delle decisioni). Del resto la funzione delle sanzioni, se sufficientemente severe e all’occorrenza applicate, dovrebbe essere proprio quella di scoraggiare i comportamenti sbagliati. Quella del ministero è dunque una scelta di carattere puramente ideologico, come confermano le tortuose e inconsistenti motivazioni che la vorrebbero giustificare. Leggiamo: “La valutazione del comportamento sarà espressa d’ora in poi con giudizio sintetico e non più con voti decimali, per offrire un quadro più complessivo sulla relazione che ciascuna studentessa o studente ha con gli altri e con l’ambiente scolasticoMa agli allievi e ai loro genitori la valutazione del comportamento viene comunicata a voce e per scritto durante tutto l’anno, non solo con un giudizio a fine quadrimestre, che peraltro potrebbe tranquillamente accompagnare il voto invece di sostituirlo.
Ancora: via il 5 in condotta, ma “resta confermata la non ammissione alla classe successiva (in base a quanto previsto dallo Statuto delle studentesse e degli studenti) nei confronti di coloro a cui è stata irrogata la sanzione disciplinare di esclusione dallo scrutinio finale”. Si evita però di precisare che nello Statuto questa eventualità è riferita solo a “reati che violano la dignità e il rispetto della persona umana”; e non basta, perché lo si può fare soltanto a una serie di condizioni: “nei casi di recidiva, di atti di violenza grave, o comunque connotati da una particolare gravità tale da ingenerare un elevato allarme sociale, ove non siano esperibili interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente”. In altre parole, chi “si limitasse”, nonostante richiami ed eventuali sospensioni, a un continuo disturbo delle lezioni, a offendere più volte insegnanti, custodi e compagni, a falsificare firme, a uscire di classe senza permesso, insomma se dimostrasse (cosa tutt’altro che rara nelle aule odierne) una radicata maleducazione e l’incapacità di ravvedersi, non correrebbe il rischio di ripetere l’anno.
È incredibile che questa ulteriore mazzata alla funzione educativa della scuola avvenga mentre in tanti si riempiono la bocca con le “soft skills”, le cosiddette competenze trasversali necessarie per vivere in società e nel mondo del lavoro, tra le quali adattabilità e flessibilità, rispetto delle regole e dei livelli gerarchici, autocontrollo, comprensione dei bisogni altrui. E come si può ottenere tutto questo trasmettendo ai giovani continui messaggi di permissività e senza ricordare una sola volta negli ultimi decenni l’esistenza delle responsabilità e dei doveri? Non sarebbe invece il momento di andare con fermezza in direzione esattamente contraria, proprio nell’interesse educativo dei giovani, come ormai invitano a fare stuoli di psicologi e psicoterapeuti, che del disastro educativo in corso vedono gli effetti su tanti genitori in crisi?
Tempo fa, in un editoriale sul “Corriere della Sera”, Ernesto Galli della Loggia si chiedeva se in viale Trastevere si sapesse che “in moltissime realtà scolastiche italiane ormai si assiste ad una vera e propria abolizione di fatto della disciplina”. Purtroppo con questa decisione anche la sua progressiva abolizione di diritto ha fatto un altro grave passo avanti.

Giorgio Ragazzini
(Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità)




[1] Informazioni tratte dal sito dell’Adi, più precisamente dall’articolo Il benessere degli studenti in Pisa 2015 di Marco Bardelli (http://bit.ly/2kJwPor)

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